Dal sottosuolo – Underground
Una riflessione teatrale tra etica, libertà e felicità
Il 27 e 28 settembre 2025, il Teatro Fontana di Milano ha ospitato la performance Dal Sottosuolo – Underground, un esperimento teatrale ispirato a Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij. Noi di Russisti Anonimi abbiamo partecipato alla prima, e a distanza di qualche settimana abbiamo deciso di condividere con voi qualche riflessione sullo spettacolo.

Una primissima considerazione va alla scelta della location. Lo spettacolo si è svolto infatti nel Chiostri Suite, un cortile bramantesco condiviso dal Teatro Fontana con la chiesa Santa Maria alla Fontana, anziché nel palco principale del teatro. Decisione scenografica interessante, che, regalando stupore agli spettatori, ha aggiunto un tocco di unicità alla serata. Degno di nota anche il fatto che lo spettacolo non prevedesse posti a sedere numerati, cosa che avrà delle ripercussioni positive o negative, a seconda, sui più audaci che hanno scelto le prime file e sui ritardatari costretti alle ultime.
uccideresti l’uomo grasso?
La rappresentazione si articola in due parti distinte. La prima, intitolata Uccideresti l’uomo grasso? consisteva in un vero e proprio gioco di società, e prevedeva il coinvolgimento diretto del pubblico, invitato addirittura a salire sul palco. Francesco Gargiulo, nel ruolo di un conduttore televisivo con evidenti tendenze alcoliste, dopo aver dato il benvenuto ai suoi ospiti, ha selezionato due spettatori in platea, invitandoli a diventare i protagonisti della performance in qualità di giocatori. Alle povere vittime inconsapevoli sono stati consegnati due mazzi di carte da Il trauma del tram, famoso gioco di società della casa editrice italiana Asmodee, ed è stato chiesto loro di dare il via alle danze.

Le regole del gioco secondo l’editore:
“Un giocatore è il Conducente e deve scegliere, tra due binari, su quale mandare un tram fuori controllo, investendo tutti sul suo cammino. Due squadre cercheranno di convincere il Conducente a risparmiare chiunque si trovi sul proprio binario, uccidendo così tutti quelli sull’altro.”
Da spettatori a rappresentanti legali, Chiara e Roberto (ecco i nomi degli sciagurati selezionati a inizio spettacolo) si sono visti costretti quindi, non solo superare ogni scrupolo morale e a posizionare sui binari, condannandolo così a morte certa, un essere vivente, ma sono anche stati chiamati a difendere la propria scelta, nel tentativo di convincere il pubblico e decidere se ammazzare una famiglia di migranti e salvare una classe di bambini sordi o viceversa.
Agli altri membri del pubblico, dal canto loro, spettava il compito di giudicare, sulla base anche delle arringhe difensive dei due colleghi, chi condannare a morte. La dinamica, guidata dal conduttore che, grazie a frequentissimi sorsetti di vodka, secondo copione diventava sempre più ubriaco e irascibile, ha avuto bisogno di un giro di prova prima di entrare nel vivo dell’euforia da gioco. Il primo round ha infatti intimorito il pubblico, che non si aspettava di dover riflettere su quale minoranza trucidare in un normale sabato sera a teatro. Molti in effetti, autrice compresa, si sono inizialmente astenuti dal voto. Fenomeno della responsabilità condivisa o timidezza?
A provocare un netto cambiamento di rotta è stata l’introduzione del premio per la maggioranza vincente: uno shottino vodka. Chi al primo round era rimasto in disparte, dal secondo in poi, grazie all’incentivo alcolico, ha iniziato a partecipare più attivamente al gioco, senza troppo riflettere sul fatto che il dilemma a cui eravamo chiamati a rispondere era: “Uccidi questo o quello?”. La dinamica del rinforzo positivo attivato dalla volka, il parallelismo con la coercizione del pensiero, l’influenza della maggioranza e l’allegoria della responsabilità individuale sono temi che, a mio avviso, sarebbero potuti essere sviluppati ulteriormente, conferendo maggiore spessore al gesto teatrale. O forse sono stati sviluppati, ma non si è voluto darlo a vedere, attivando un meccanismo inconscio e trasparente come la vokda, l’uso della quale, seppur apparentemente vuoto e superficiale, racchiudeva un valore simbolico essenziale. Dopo la prima consegna del premio, la distribuzione degli shottini non è stata effettuata in maniera equa. Ad alcuni spettavano, ad alcuni no. Io, ad esempio, di vodka non ne ho toccato neanche un goccio, ma ho ricevuto due volte un bicchierino vuoto. Sarà che ero in fondo alla sala e che, come nella vita, chi prima arriva meglio alloggia? O forse era tutto calcolato e la presenza e la modalità di somministrazione della famosa bevanda russa erano il risultato di uno studiato meccanismo psicologico adottato, per nutrire insoddisfazioni e senso di ingiustizia. Non lo sapremo mai.

I quesiti morali hanno seguito un andamento climatico importante, interrotti da tentativi di corruzione pecuniaria a fronte della richiesta di uccidere un uccellino vivo, portato in una gabbietta sul palco. Si arriva così al culmine finale. Le luci si abbassano e la tensione sale. Il clima spensierato e giocoso iniziale viene sostituito da ansia e tristezza. Chiara, mia compagna di università, e Roberto, sconosciuto dalla voce dolce, mai scesi dal palco a trovare riparo nel comfort della platea, dopo aver fatto bella faccia ad un pazzo che ha gridato per la maggior parte del primo atto e dopo aver difeso con dignità e смирение le vite degli altri, ora sono chiamati a difendere la propria. Il quesito finale: “Sacrifichiamo Chiara o Roberto?”. Silenzio in sala. Fine primo atto.
G. I. grande inquisitore
La seconda parte dello spettacolo ha segnato un drastico cambiamento di registro. In questa sezione intitolata G.I. Grande Inquisitore, la performance si è avvicinata a una sorta di documentario, misto ad un DJ set, con la DJ, Barbara Mazzi, che scriveva in tempo reale riflessioni e commenti su una presentazione molto, troppo, ma volutamente amatoriale, riprendendo le tematiche filosofiche discusse nel famoso capitolo de “I fratelli Karamazov” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij “La leggenda del grande inquisitore”. Il quesito più rilevante? “Cosa scegli tra libertà e felicità?”. Questa e altre domande sono state poste a persone normali, rappresentati in frammenti di interviste, proiettate sullo schermo che faceva da sfondo al palco, creando un parallelo tra letteratura e partecipazione attiva. Tuttavia, la complessità del materiale e la modalità di rappresentazione frammentata, composta da video, spezzoni di discorsi filosofici, citazioni da testi e scrittura in tempo reale, hanno reso la seconda parte piuttosto caotica e difficile da seguire, soprattutto per chi, non aveva ripassato o non aveva idea di chi sia il Grande Inquisitore e del perché sia comparso in questo momento dello spettacolo. Credo che sarebbe stato utile un riferimento più esplicito alla fonte letteraria e al contesto del capitolo originale, rendendo così più accessibile il confronto tra i quesiti morali dello spettacolo e quelli dell’opera di Dostoevskij.

Nonostante alcune criticità, complessivamente sono felice di aver assistito a questa rappresentazione. Ringrazio il Teatro Fontana per l’invito e la possibilità di vivere un’esperienza teatrale così originale. Apprezzo enormemente ogni tentativo di adattare e riscoprire l’attualità delle questioni morali di Delitto e Castigo. Per i due giorni successivi sono rimasta attanagliata, come anni addietro, dalle riflessioni morali e filosofiche che hanno portato alla corruzione psichica di Raskol’nikov, portandomi persino a cercare un confronto con i miei genitori su questi dilemmi. In questo senso, lo spettacolo ha raggiunto il suo scopo più alto: stimolare riflessioni profonde. La produzione ha deciso di portare in scena un Delitto e Castigo assolutamente diverso dal consueto, e per questo merita il plauso di ogni appassionato di teatro e letteratura russa.

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