Kalashnikov a lezione e flirt sulla Neva: benvenuti a Salernograd
Alla Cooperativa della Liberazione per l’esordio letterario di Santoro: e vi raccontiamo com’è andata

Immaginate un salernitano doc, Vincenzo Santoro, che un giorno, stufo dell’inverno noioso della sua città e della caccia al parcheggio in centro, decide di spedire 100 curricula in una notte e si ritrova a insegnare italiano a Tripoli, con studenti che portano Kalashnikov a lezione e gli regalano proiettili.
“Li ho presi. Che dovevo fare, dire di no? Magari era scortese!” racconta ridendo, con quel misto di ironia e incoscienza che lo ha portato a girare il mondo, da Tripoli alla Russia, passando per Bielorussia e Uzbekistan, fino a scrivere Salernograd, il suo libro presentato con brio alla Cooperativa della Liberazione a Milano. Un evento che noi di RussistiAnonimi abbiamo seguito con entusiasmo, e lasciandosi conquistare dal suo racconto, condito da aneddoti esilaranti e riflessioni profonde.

Come ogni presentazione di un libro che si rispetti, la prima domanda è quella di rito, quella che scalda il motore della conversazione: “Vincenzo, da dove nasce l’idea di Salernograd?”. Lui, con tenerezza, risponde che tutto è partito dall’urgenza di fissare l’inaspettato. “Ogni volta che mettevo piede in un paese nuovo, mi ritrovavo a segnarmi quello che mi colpiva: cose che a Salerno non notavo. Racconta che l’idea è nata dieci anni fa, proprio in Libia, quando ha iniziato a buttare giù appunti su un mondo che lo lasciava a bocca aperta. “Salernograd è un collage di dieci anni di annotazioni, un diario di quello che mi ha sorpreso di più durante le mie missioni all’estero come insegnante di italiano”. Con una risata, aggiunge: “Ogni missione durava tre anni, il tempo perfetto: sei disorientato, ti ambienti, capisci il posto, ti integri e poi inizi ad annoiarti. Dopo tre anni in genere, non trovavo più nulla da annotarmi. Forse è tutto calcolato dal Ministero degli Esteri. Chissà come mi sarei trovato con contratti più lunghi!”.
Da Salerno a Tripoli: “Il battesimo del fuoco”
Vincenzo non è uno che si tira indietro. Quando l’Istituto Italiano di Cultura di Tripoli gli offre un posto da insegnante a novembre 2012, poco dopo la morte di Gheddafi, lui ride: “Mi hanno dato del pazzo, ma in una settimana ho deciso”. E così, il 2 gennaio, eccolo a Tripoli, dove, appena arrivato, “non ho dormito per le prime due settimane”. “A Salerno, dice, è vero, sparano, ma non è proprio la stessa cosa”. Lì, si ritrova in un mondo dove gli studenti arrivano armati a lezione e gli regalano proiettili come fossero souvenir. “Mamma mi diceva ‘non ti fidare di nessuno’, ma io sapevo che di qualcuno, almeno di uno, mi sarei dovuto fidare. Così ho scelto di fidarmi della voglia di vivere e di un po’ della mia incoscienza”.
La vita da espatriato: bar, pomodori e “deserti emozionali”
Entriamo nel vivo della riflessione sul romanzo. L’atmosfera si fa più frizzante e Vincenzo, superando il timore iniziale della prima presentazione del suo primo libro, condivide con il suo pubblico la magia e le difficoltà della prima settimana in ogni nuovo paese. “Cerchi di capire dove si trova il supermercato più vicino per comprare i pomodori, che in Russia e Bielorussia, ad esempio, sono diversi, ci mettono pure le erbette. Ogni volta poi devi sistemarti in una casa nuova, con arredamenti minimali e con quel ‘deserto emozionale’ che ti porti dietro”. Porta con sé poco: un libro, una foto, un orologio da mettere sul comodino, nel tentativo di arredarlo. Ma è proprio quel momento iniziale, fatto di spaesamento e scoperta, a essere “il più bello”.

“La mia strategia per ambientarmi in una città nuova, quando sei solo e magari non parli la lingua del posto? I bar! Oh, i bar!”. Parlando di San Pietroburgo ad esempio Vincenzo, figlio di un barista, racconta di aver trovato nei bar della Venezia del nord il cuore pulsante della città.
“Cerco sempre di evitare i posti frequentati dagli italiani, che gli italiani all’estero sono sempre degli scappati di casa. Tanto per attaccare bottone bastava la mia presenza, soprattutto in Russia, dove venivo sempre percepito come estraneo, al massimo mi potevano scambiare per georgiano o ceceno. Il mio aspetto incuriosiva le persone del posto che venivano a parlarmi. A Salerno nessuno è incuriosito dalla mia presenza. Io, seduto al mio tavolino, loro mi sorridono, io bevo, e più bevo più loro sorridono!” racconta con un ghigno. A San Pietroburgo, la città dei bar aperti fino a notte fonda, dove si parla di qualunque cosa fino alla mattina dopo, fa amicizia con Il’ja, che lo porta in giro per la città e gli mostra i posti più belli in cui bere e divertirsi. In questa occasione Vincenzo scopre la natura malinconica dei russi. Il’ja infatti, entrando nei bar più belli, quelli che vale la pena di far vedere a un italiano, sospira sempre con vaga amarezza.
– “Ti piace qui”
– “Sì, bello mi piace”
– “Prima era molto meglio.”
Un altro che ricorda i bar di San Pietroburgo con tiepida nostalgia è Sergej Dovlatov, che Vincenzo cita con affetto come scrittore che ha conosciuto proprio in Russia. “Quando sono arrivato lì, avevo letto principalmente Dostoevskij”. Ho la sensazione che Serёzha lo abbia colpito più di quanto abbia ammesso a parole. Con trasporto ci racconta di come abbia notato nei russi un interessante rapporto con il potere: “Dovlatov amava la sua patria, e come me, i bar di San Pietroburgo. Questa cosa ci unisce, come ci unisce l’aver vissuto all’estero per molti anni, Dovlatov però è stato costretto a trasferirsi, a me non ha mai costretto nessuno”.
Da insegnante a studente: il rapporto con la lingua russa
Parlo 5 lingue, tutte male. In Libia, confessa, l’arabo non l’ha mai imparato, ma il russo? Quello sì. “Il mio russo è un po’ da bar, faccio degli errori, ma ne vado fiero!” dice con un sorriso. Da insegnante di lingue straniere, sa bene come funziona imparare una lingua, e ce lo racconta con l’entusiasmo di chi l’ha vissuto in prima persona. “Ci sono tre momenti”, spiega. “All’inizio sei gasatissimo: dici le prime parole, (io quando sono arrivato in Russia sapevo solo ‘дача’ /dacha/, ‘самовар’ /samovar/ e ‘царь’ /zar’/) e ti senti un genio, è emozionante! Poi arriva la fase frustrante: capisci che stai iniziando a parlare, ma ti mancano ancora gli strumenti per esprimerti davvero, e pensi ‘ci sono quasi, ma non ci sono!’. Infine, il momento magico: quando riesci a fare battute nella lingua nuova. Lì ti senti completo, fiero, come se avessi conquistato il mondo”. E anche se le sue battute in russo non sempre facevano ridere i russi, Vincenzo quel mondo l’ha conquistato lo stesso.

Verso il gran finale della presentazione, Vincenzo Santoro ci regala un’ultima carrellata di chicche, con un’energia delicata, ma contagiosa che rende la serata alla Cooperativa della Liberazione indimenticabile. Tra una risata e l’altra, con il caldo supporto di amici e compagni di viaggio che intervengono dal pubblico per dimostrargli affetto e sostegno, Vincenzo ci parla delle sue avventure amorose in Russia perché “essere italiano è un ottimo bigliettino da visita, grazie Celentano!” e delle bielorusse, innamorate dell’Italia ma un po’ meno dei suoi stipendi. Ci confessa la sua fissazione per le statue di Lenin: “Insomma, arrivi in una città, vedi Lenin, e che fai? Non ti scatti una foto?”. E non dimentica la musica, un tocco di genio dell’editore: ogni capitolo di Salernograd ha una playlist, una colonna sonora che ti trasporta da un bar di San Pietroburgo a un mercato uzbeko. In un’atmosfera vivace e felice, Vincenzo ci saluta con un invito: leggete il romanzo ascoltate le playlist, soprattutto “Confessa” di Celentano, che non si sa mai, potreste trovarvi in un paese dello spazio ex-sovietico, sollecitati a dimostrare le vostre doti canore da italiano vero e a fare la sporca figura di uno che non conosce le grandi hit della musica più amata del bel paese
Le tre domande finali.
Se ci invitate ad un evento o ad una presentazione, non pensate che ce ne staremo zitte in un angolo con sguardo assorto. No, no. Noi ascoltiamo, prendiamo appunti e facciamo domande. Armate di curiosità e taccuini, mi sono segnata tre domande da rivolgere a Vincenzo per scavare un po’ più a fondo nel suo mondo e per metterlo a un po’ a disagio:
Domanda № 1
– “Dici che gli italiani all’estero sono scappati di casa. Tu sei uno scappato di casa?”.
– “Gli scappati di casa che intendo io hanno dai 40 anni in su. Diciamo che io sono un aspirante!”.
Domanda № 2
– “Si dice che nelle relazioni d’amore ci sia una crisi introno ai tre anni, quella che fa tremare le coppie. Le tue missioni negli Istituti di Cultura duravano proprio tre anni. Definiresti le tue missioni come storie d’amore?”.
– “Eccome! Mi sono innamorato ogni volta. In Russia, poi, ci ho messo il carico: matrimonio e divorzio, tutto in un’unica avventura!”.
Domanda № 3
– “Vincenzo, quando ci parlavi dei bar di San Pietroburgo, dove hai conosciuto i russi per davvero, hai detto che esprimerti in russo era una sfida, specie con le battute. Spesso nessuno rideva alle tue, forse non capivano il tuo umorismo. Ma tu, l’umorismo russo, l’hai mai afferrato?”
– “Le battute del mio amico Il’ja le capivo, ma solo perché me le spiegava dopo.”

Un enorme grazie a Vincenzo Santoro per averci trascinate nel suo mondo con Salernograd e alla Cooperativa della Liberazione per la serata indimenticabile! Noi di Russisti Anonimi ci siamo divertite un mondo, e il nostro taccuino è pieno zeppo di storie da raccontare.
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